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Ecco perché siamo i primi a vivere nella nuova “civiltà solare”

A giugno 2016, il 50,5% dell’elettricità prodotta in Italia è arrivata da fonti non fossili. Le “rinnovabili”, cresciute in modo impetuoso e inaspettato negli ultimi quindici anni, hanno guidato l’umanità verso una nuova era. Quella in cui saremo capaci di metter da parte carbone, petrolio e gas, come spiega “Civiltà solare”, in libreria da oggi per Altreconomia

Nel mese di giugno 2016 l’Italia ha toccato un traguardo simbolico: la produzione mensile di elettricità è stata coperta per il 50,5 per cento da fonti di energia rinnovabile. Anche se molti faticano ad accorgersene, una vera e propria rivoluzione è in corso. Guardiamo alla Danimarca: il 9 luglio 2015, il Paese ha prodotto una quantità di elettricità di origine eolica pari al 103% della sua domanda di elettricità in quello stesso giorno. Nelle due ore di picco, una al mattino e una alla sera, questa cifra è salita al 135%. La quota in eccesso è stata distribuita ai Paesi confinanti, Svezia, Germania e Norvegia, senza che la rete elettrica mostrasse particolari problemi. Alla base di questo successo sta la trasformazione avvenuta negli ultimi due decenni nei servizi elettrici e nel relativo mercato.

E se è vero che lo sfruttamento delle fonti fossili ha dato la forma attuale al nostro modello economico, alle nostre città, ai nostri stili di vita, dopo 150 anni di dominio assoluto di carbone, petrolio e gas oggi si sono accreditate delle alternative concrete. Alcuni dati, tratti dalle maggiori riviste scientifiche internazionali, dimostrano come le fonti rinnovabili stiano crescendo in maniera impetuosa e inaspettata, tanto che anche i suoi fautori hanno clamorosamente sbagliato le previsioni. Per quanto riguarda la potenza fotovoltaica installata nel mondo al termine del 2015, ad esempio, il dato reale di 227 GigaWatt è l’80% in più della più rosea previsione di Greenpeace e SolarPower Europe. Ciò significa che la transizione è in corso, e questo pone alcune domande: è possibile completare un processo così rilevante nell’arco di una sola generazione (entro il 2050)? A quali costi e con quali tecnologie? Quali criticità vanno affrontate? Quale nuovo modello di organizzazione economica e sociale sarà stimolato?

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Per rispondere a queste domande, nel libro tracciamo l’orizzonte di questa nuova “civiltà solare”. Intanto, la disponibilità di vento e sole è determinata dalla natura e questo dà loro il vantaggio di una distribuzione più equa rispetto quella delle fonti fossili. Se vogliamo sfruttare appieno il potenziale di queste risorse, però, dobbiamo essere pronti ad affrontare le loro bizzarrie e cercare di volgerle a nostro favore. Per fare questo dobbiamo agire sul sistema di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica: la rete va preparata e irrobustita. In tempi di generazione intermittente, non deve succedere che l’improvviso venire meno di una fonte di generazione, ma anche di un grosso cavo aereo, induca un blackout nazionale, come invece avvenuto lo scorso decennio in alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti.

La rete deve essere pronta a gestire quotidianamente sbalzi di produzione prima considerati eccezionali. Inoltre, la rete deve essere pronta a trasferire grosse quantità di energia per distanze notevoli: si pensi ad esempio al caso italiano dove le risorse (solare ed eolico) tendono ad essere concentrate al Sud mentre la domanda è al Nord.

Per molte fonti rinnovabili, inoltre, il problema del prezzo del combustibile non esiste: nel caso di solare, idroelettrico, eolico e geotermico, il combustibile è fornito gratis dalla natura. Visto che il costo operativo rimane più o meno fisso nel tempo, il gestore non si aspetta grosse variazioni nelle spese da affrontare nel corso della vita operativa dell’impianto. Quindi, in linea di principio ci si aspetta che i costi delle energie rinnovabili siano intrinsecamente più stabili nel tempo, meno soggetti alla speculazione e al rischio. Ma il confronto dei costi (con le fonti fossili) non sarebbe equo se non si ricordasse l’esistenza di due fattori importanti, uno a sfavore delle sorgenti rinnovabili, e uno a sfavore delle fossili. Per le rinnovabili è difficile calcolare i cosiddetti costi di integrazione, legati all’intermittenza nella produzione tipica di alcune sorgenti rinnovabili. Il secondo e più importante fattore è legato al fatto che le rinnovabili emettono molti meno gas serra e gas inquinanti delle sorgenti fossili. Questa differenza sfugge a una comparazione basata solo sui costi di produzione. Perché la competizione sia veramente equa dovremmo aggiungere ai costi di produzione e distribuzione delle diverse sorgenti anche le “esternalità ambientali”, ovvero il costo del danno indotto all’ambiente e alla salute umana. Questo costo è molto più alto per le fonti fossili, anche se non è nullo neanche per le rinnovabili (si pensi ad esempio all’uso dell’acqua nel caso dell’idroelettrico o alle emissioni di particolato atmosferico delle biomasse). Siccome un’esternalità non è determinata dal mercato ma ne è, appunto, esterna, è compito delle autorità calcolarla e, volendo, applicare una tassa (come la “carbon tax”) che compensi i costi ambientali e sociali delle fonti fossili e che livelli la competizione fra risorse. In realtà, spesso si preferisce operare nel modo opposto e si offre una qualche forma di incentivo alle fonti rinnovabili.

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Chi nonostante tutto volesse continuare a scommettere sulle fonti fossili, invece, deve fare i conti con una realtà, la stessa che in passato ha già toccato il legname, il cui sovrasfruttamento ha portato alla scomparsa di intere civiltà: i giacimenti più profittevoli sono ormai stati sfruttati. Quello che rimane non è poco, ma è più difficile e costoso da estrarre. Ad esempio, se mettiamo a rapporto l’energia necessaria per estrarre e rendere disponibile un barile di petrolio (perforazione, trasporto, raffinazione) e l’energia in esso contenuta, otteniamo una misura del ritorno energetico sull’investimento energetico. Quando si trova un giacimento facile da sfruttare, per ogni barile di petrolio investito nel processo se ne possono ottenere diverse decine. Secondo alcuni ricercatori, nei casi più favorevoli fino a 100. Col passare del tempo, da quel giacimento diventa sempre più difficile estrarre petrolio. Per un barile investito se ne ottengono sempre di meno, fino a 20.

Ma la transizione non sarà una semplice sostituzione di una fonte con l’altra: proprio le caratteristiche delle rinnovabili richiedono un cambio nell’organizzazione complessiva del sistema. In primis sono distribuite (anche se in maniera irregolare) molto più uniformemente. Questo suggerisce un modello di produzione e gestione più diffuso che ha consentito l’affermarsi dei cosiddetti prosumers, attori del sistema elettrico che sono contemporaneamente produttori e consumatori. Il vostro vicino che ha installato un impianto fotovoltaico è un prosumer, come l’ospedale che ha installato una piccola centrale di cogenerazione o l’azienda alimentare che usa parte dei suoi scarti per produrre biogas. In molti Paesi un gran numero di cooperative elettriche si sono sviluppate per consentire la partecipazione delle comunità locali al processo di transizione energetica: REScoop.eu, la federazione europea dei gruppi di cittadini e cooperative per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, ha mappato 2.397 esperienze in tutta Europa. Come vaticinava il tedesco Hermann Scheer, già presidente di Eurosolar e del World Council for Renewable Energy, scomparso nel 2010, “il passaggio completo alle energie rinnovabili rappresenta il cambiamento strutturale più radicale dall’inizio dell’era industriale. È impensabile attuarlo senza vincitori né vinti. A perdere saranno indubbiamente i fornitori delle energie convenzionali, le proporzioni della sconfitta dipenderanno dalla loro disponibilità e capacità di riconvertirsi. I vincitori del cambiamento saranno la civiltà mondiale nel suo insieme e le sue società ed economie nazionali”.

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scritto con Fabio Monforti per Altreconomia 186 — Ottobre 2016

Published inCiviltà solare

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