La transizione da un sistema energetico basato sulle fonti fossili a uno basato sulle fonti rinnovabili è ormai avviata. In questo contesto il ruolo delle comunità di cittadini può essere molto importante. In Danimarca sono attive oltre cento cooperative eoliche che possiedono circa il 75% delle turbine installate nel paese; ad esempio la centrale eolica da 40 MW costruita in mare a breve distanza dal porto di Copenhagen è posseduta al 50% dal comune e al 50% da una cooperativa di privati cittadini. In Germania le cooperative attive nel mercato energetico sono passate dalle 86 del 2006 alle 973 del 2014. Nelle Fiandre è attiva Ecopower: costituita da 30 membri nel 1990, oggi ne conta 47.000 e fornisce elettricità a più dell’1% delle famiglie fiamminghe. Anche in Italia si sono sviluppate da tempo diverse esperienze collettive che spesso hanno coinvolto amministrazioni pubbliche in particolare comuni.
Queste esperienze collettive sono profondamente diverse dalle classiche società for profit e per questo motivo non dovrebbero competere sullo stesso piano delle grandi aziende che forniscono elettricità. Del resto, secondo la Costituzione, la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione senza fini di speculazione e ne favorisce l’incremento.
L’alternativa evidenziata tra società concentrate sulla massimizzazione del profitto e cooperative che, privilegiando la partecipazione, riescono a considerare meglio anche gli aspetti ambientali e sociali delle forniture energetiche, non definisce tutto il quadro. Le società municipalizzate nacquero all’inizio del ‘900 con uno spirito prossimo a quello delle cooperative. Uno spirito ormai completamente perso specie dopo la stagione delle aggregazioni che ha portato alla nascita delle multiutility.
Ma le caratteristiche delle energie rinnovabili, che sono estremamente diffuse sul territorio, sembrano suggerire un modello alternativo di organizzazione del sistema energetico e in particolare del sistema elettrico. Un sistema diffuso, dove il consumatore possa anche essere produttore. Nel nuovo quadro della transizione serve forse riscoprire un nuovo municipalismo, capace di integrarsi in un contesto nazionale.
È comunque possibile già da oggi favorire la partecipazione dei singoli cittadini, associati comunitariamente, alla transizione energetica. E questo può essere fatto semplicemente attraverso una regolazione più adatta al nuovo contesto. Del resto non ci sono più incentivi per il fotovoltaico e quelli per le altre fonti verranno progressivamente ridotti. Quella stagione è alle spalle, ma l’innovazione delle norme può portare benefici diffusi a una larga platea di cittadini definendo modalità di azione per comunità consapevoli di produzione e consumo.
Ad esempio, oggi per un condominio è possibile avere un impianto di riscaldamento centralizzato dove le spese vengono distribuite in base ai consumi effettivi. Ma non è possibile invece avere un unico contatore elettrico comune, magari allacciato a un impianto fotovoltaico condominiale. In questo modo tutte le abitazioni si collegherebbero a un unico impianto dividendosi oneri (bolletta elettrica) e benefici. L’autoconsumo dell’energia prodotta potrebbe generare vantaggi sia ai condomini sia alla rete di distribuzione. E invece proprio in questi giorni abbiamo sperimentato come una rete inadeguata ai tempi porti a importanti disservizi. I blackout oggi non sono giustificabili visto che abbiamo un parco di generazione da 130 GW e il picco di richiesta sulla rete è stato di soli 57 GW. Ma per evitarli servono investimenti sulla rete.
Una comunità elettrica condominiale così organizzata costituirebbe il primo nucleo delle cosiddette smart grid o smart cities. Ma la Strategia Energetica Nazionale, pur abbondando dell’aggettivo smart, lo dedica solo alle iniziative delle grandi società, trascurando completamente il ruolo positivo che potrebbero giocare le comunità di cittadini, che accompagnerebbero la transizione tecnologica al cambio di mentalità necessario per il nuovo modello energetico.
Lo stesso schema si potrebbe attuare anche in complessi produttivi o commerciali.
Più in generale, permettere alle cooperative di rifornire direttamente i propri soci con energia elettrica proveniente dai propri impianti rinnovabili, attirerebbe capitali privati oggi esclusi dal mondo delle rinnovabili. Capitali non in cerca di profitto ma di un approvvigionamento di energia elettrica più sostenibile.
Ma progetti innovativi di partecipazione potrebbero essere attivati anche nel campo dell’efficienza energetica. Ad esempio, consideriamo una scuola con la caldaia e gli infissi da sostituire e un’amministrazione pubblica impossibilitata a dedicare risorse a questo problema. Immaginiamo inoltre la presenza di un’associazione di genitori che è disponibile a impegnarsi economicamente per accelerare l’intervento sfruttando la presenza più o meno generosa di incentivi. La soluzione al problema sembrerebbe facile e immediata, per esempio attraverso l’emissione di buoni obbligazionari comunali che però dovrebbero essere mantenuti al di fuori del patto di stabilità, visto che concorrono a ridurre la spesa corrente (a regime).
Oggi è possibile solo ricorrere a quanto previsto dall’art.23 del DL 185/2008 per progetti “di interesse locale operati dalla società civile nello spirito della sussidiarietà” come recentemente provato a San Lazzaro di Savena. Ma con questa formula sono i cittadini che devono farsi carico della progettazione dell’intervento e questo può costituire una barriera importante all’azione.
pubblicato su Arcipelago Milano
Sii il primo a commentare