Se qualcuno fosse seriamente interessato a costruire una credibile proposta di sinistra di governo nel nostro paese, secondo me dovrebbe provare a farlo a partire da alcune condizioni essenziali. Intanto dovrebbe lavorare ragionando sul medio-lungo periodo dimenticandosi delle urgenze elettorali. Cambiare l’immaginario comune è più importante che strappare un inutile 5% alle elezioni. Se si riesce a imporre una nuova agenda politica, ne dovranno tenere conto tutti gli altri: vincitori e vinti.
Lo strumento migliore per ottenere questi risultati è lo sviluppo di rapporti al di fuori del circuito partitico/comunicativo classico: meno inutili cartoline su facebook e più relazioni forti con i movimenti sociali attivi nelle infinite comunità virtuose del nostro paese. Tali relazioni forti dovrebbero basarsi su alcune proposte concrete di cambiamento delle politiche nazionali, definendo un percorso puntuale per arrivare a ottenere gli obiettivi comuni.
I protagonisti di questo tentativo dovrebbero poi scappare dalle interviste ombelicali (su quotidiani che nessuno legge più) tutte centrate su alleanze e liste: cosa vuoi fare è infinitamente più importante di con chi lo vuoi fare. Meglio evitare qualsiasi polemica a buon mercato perché non sei tu che devi dire che i tuoi avversari politici fanno schifo: il tuo compito è spiegare le tue proposte. Di conseguenza le persone capiranno (da sole) il tuo valore. Tutto sarebbe ovviamente più credibile se fosse la prosecuzione di atti già realizzati in una precedente esperienza di governo o di amministrazione.
Nichi Vendola, sulla scorta dei successi da governatore della Regione Puglia, avrebbe potuto seriamente provarci. Ma preferì ritagliarsi una riserva di caccia di sinistra-sinistra, rinunciando a parlare alla maggioranza degli italiani. E questo mi fa aggiungere un’ultima condizione sul mio personalissimo tabellino: non usare mai per definirsi la parola sinistra (o centrosinistra, con o senza trattino). Le parole sono importanti se veicolano significato, ma possono essere addirittura dannose se anni di cattive pratiche elettorali le hanno squalificate. Inutile la ricerca identitaria, quando le identità politiche sono ormai terribilmente fluide.
Nella torrida estate del 2017 è difficile scorgere all’orizzonte qualcosa che sia anche vagamente in grado di soddisfare queste condizioni. Sia che aguzziate la vista, sia che chiudiate il vostro occhio buono, il panorama è francamente desolante.
C’è forse un unico tentativo che sembra essere stato costruito con un respiro più ampio dimenticandosi di Renzi, di elezioni, di giornali. Il movimento che si è coagulato attorno alla marcia del 20 maggio scorso a Milano.
Un appello semplice, basato su proposte chiare (“l’effettivo superamento della Legge Bossi Fini, l’approvazione della Legge sulla Cittadinanza, la necessità di rafforzare un sistema di accoglienza dei migranti fondato sul coinvolgimento di tutte le comunità e le istituzioni, la trasparenza, la qualità, il sostegno ai soggetti più fragili, la cultura dei diritti e della responsabilità”), sottoscritto da tante personalità credibili e da qualche politico non del tutto sputtanato. Il tentativo di riscrivere da capo la narrazione sul tema immigrazione proprio quando l’approccio leghista/nazionalista (che già sarebbe una contraddizione in termini se solo le parole avessero senso) sembra aver pervaso anche gli osservatori più moderati.
Davanti a questa deriva c’è un’Italia che pensa e agisce in un altro modo. Un’Italia che è già multietnica e capace di convivere, che però è silente da troppo tempo.
La manifestazione del 20 maggio ha dato finalmente una voce pubblica a tanti che finora non l’avevano. Tanti che difficilmente verranno invitati nei talk show televisivi o saranno intervistati dai quotidiani cosiddetti moderati.
20 maggio senza muri è stata un’importante occasione per dire che non sono soli, per dare uno slancio importante a campagne nazionali come quelle di Ero straniero (promossa da una inedita alleanza che comprende tra gli altri Radicali Italiani, Casa della carità, ACLI e ARCI) e a campagne locali come quelle di Nessuna persona è illegale (che comprende associazioni, centri sociali e diversi partiti di sinistra). Pochi radical chic, tante maniche rimboccate.
Le richieste sono quasi banali: dare la cittadinanza a chi è nato e cresciuto in Italia (e ha solo la “disgrazia” di avere genitori nati altrove) e dare una possibilità di immigrazione legale a chi vuole entrare nel nostro paese. Perché con le leggi attualmente in vigore, se non si ha il passaporto giusto, in Italia si può entrare solo commettendo un reato. E una volta entrati si può chiedere l’asilo politico (entrando in un circuito che prevede una onerosa assistenza a spese dello stato) oppure si può entrare nei circuiti illegali, lavorando in nero o addirittura arrivando a delinquere. La Bossi Fini infatti non prevede di fatto alternative all’illegalità o al sistema di asilo. Non risolve i problemi e criminalizza chiunque.
Chi ha provato a guardare al 20 maggio con gli occhi della polemica politica spiccia (misurando ad esempio quanto questa manifestazione fosse vicina o lontana dal PD, quanto potesse fare bene o male a Matteo Renzi) semplicemente non ha capito nulla.
Perché l’obiettivo del 20 maggio è di medio lungo termine, un orizzonte in cui concetti come PD e Matteo Renzi potrebbero perdere significato. È un tentativo che ha obiettivi politici, non partitici o elettorali. Ma che proprio per questo potrebbe diventare più dirompente sull’immaginario comune di qualsiasi slogan, intervista o libro. Potrà riuscire se le relazioni che si sono sviluppate riusciranno a consolidarsi, nella reciproca autonomia, e porteranno a qualche concreto successo, a partire dall’approvazione della Legge sulla Cittadinanza. La strada è stretta ma vale decisamente la pena provare a percorrerla.
L’esperienza del 20 maggio, che ha coinvolto tante e tanti, è potuta nascere grazie alla credibilità maturata dall’esperienza di governo dell’assessore alle politiche sociali del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino. E alla convinta adesione del sindaco, Beppe Sala. Due politici finora attivi su un palcoscenico locale che però in futuro potrebbero giocarsi un ruolo nazionale. Proprio perché finora non hanno perseguito il consenso immediato ma hanno provato a costruire consenso anche su battaglie scomode che persino il loro attuale partito sembra aver definitivamente rinunciato a combattere.
Ma ciò che resta del 20 maggio, più che leader o slogan è il metodo: quello che tutti nel nostro piccolo dovremmo provare ad adottare. Del resto, per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.
pubblicato su Gli Stati Generali
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